Gianluigi Buffon, le frasi del grande portiere

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Gianluigi Buffon, conosciuto più semplicemente come Gigi Buffon, è diventato un simbolo del calcio italiano nel mondo. Nato a Carrara nel 1978, Buffon è stato infatti spesso definito il portiere migliore nella storia del calcio.

Nel 2003 la Uefa lo ha premiato con il titolo di miglior portiere e nel 2016 a Monta Carlo ha ricevuto il Golden Foot, diventando il primo portiere nella storia a ricevere tale riconoscimento. Dopo aver ricoperto il ruolo di portiere della Juventus per quasi vent’anni, nel 2018 ha detto addio al club bianconero ed è passato al Paris Saint-Germain.

Si riporta di seguito una ricca raccolta con le frasi e le citazioni più celebri di Gigi Buffon.

Vincere la depressione è stata la miglior parata della mia vita.

Ho perso poco nella mia vita, ma le sconfitte mi hanno insegnato più delle vittorie.

I sogni vanno coltivati e sono la cosa più bella del mondo.

Non voglio più sentire nulla su Calciopoli, il passato è importante ma il futuro lo è ancora di più.

Viaggiare è più bello che arrivare, battersi è più bello che vincere.

Il calcio giocato è sicuramente la miglior medicina per il calcio stesso.

Se uno rinasce dopo la sconfitta, la vita ti dà squarci di vita e di sole bellissimi.

Ho l’impressione che la Juve diventi lo scudo e l’alibi per gli eterni incompiuti, per chi non vince mai.

La Juve è come il maggiordomo: sempre colpevole.

Vorrei leggere su wikipedia, accanto al nome di Gianluigi Buffon, che ha vinto una Champions.

Mario Mandžukić? È un gorillone aggressivo, di quelli che non cadono mai, con le mosche sotto il naso.

La parata più importante che abbia mai fatto in carriera? Quella che feci a Zinedine Zidane nella finale di Coppa del Mondo del 2006 in Germania è stata probabilmente la più decisiva.

Non ho mai guardato agli altri per emularli o superarli. Gli obiettivi li ho sempre posti per me stesso, per cercare di essere felice, per scrivere pagine importanti per il calcio.

Da anni mi chiedo cosa mi spinga ancora a giocare. Questa battaglia interiore mi porta forti motivazioni. Se avessi vinto la Champions sarei svuotato, il fatto di non averla ancora vinta mi sprona.

Siamo sempre l’Italia di piazzale Loreto, non cambia niente. Basta un nome in prima pagina e tutto viene infangato.

Possono cambiare gli uomini, possono cambiare i dirigenti, però quello che ha di forte questa società sono i giocatori cui è stata tramandata una voglia di vincere, di primeggiare, che non è pari in nessuna altra squadra.

Andrea Pirlo? Quando l’ho visto giocare ho pensato: Dio c’è, perché è veramente imbarazzante la sua bravura calcistica.

I morti sono morti e non rompono i coglioni a nessuno. Vanno lasciati in pace e vanno rispettati, fossero anche i nemici ed i rivali più acerrimi che uno possa avere.

Nei prossimi 150 anni non ci sarà uno come Del Piero. Chi vestirà la sua maglia numero 10 dovrà sapere chi l’ha portata, come l’ha portata e comportarsi di conseguenza.

Le polemiche a me non sono mai piaciute perché fanno emergere un lato di noi addetti ai lavori molto netto che è quello dell’incoerenza.

Se la vita è stata benevola nei tuoi confronti e ti ha dato qualità fuori dal comune, non ti devi accontentare di essere uno dei tanti, ma il numero uno.

Pensiamo a noi e cerchiamo di vincere, il resto è aria fritta, discorsi da bar, congetture da mediocri, argomentazioni da perdenti.

Dico sempre che sul campo è accaduta una cosa, in altre sedi un’altra, se poi conta più una sede che il campo… Amen. Se mi chiedono quanti scudetti ho vinto, dico che ne ho vinti 5, ma che ne hanno assegnati 3.

Il giorno dell’inaugurazione dello Juventus Stadium. Ho provato tante emozioni, tutte molto forti. Mi sono detto “ma in che società sto giocando”. Sono riemersi pensieri che non mi toccavano da parecchio tempo.

Troppo spesso siamo assuefatti e intorpiditi dalla negatività che ci circonda, troppe volte siamo rassegnati ad un destino che gli altri ci vogliono assegnare.

La Juventus? Una vita di successo, lotta ed impegno. È una famiglia in cui sono cresciuto e ha aiutato gli altri a crescere. È una sorta di vita scelta, un modo di vita.

Johan Cruijff? L’unico che poteva dare lustro ad un semplice 14, capace di far germogliare calcio dove non ce n’era traccia.

Alcune volte si pensa… E in alcuni casi si dice che sono meglio due feriti che un morto. Le squadre le partite se la giocano e sarà sempre così, ma ogni tanto qualche conto bisogna anche farlo.

Le ‪Olimpiadi‬ per me sono sempre state una competizione fuori dal tempo. Un’oasi di felicità ed entusiasmo fatta di scherma, atletica, nuoto, tuffi, box, judo, ciclismo, volley, canoa…

Io credo che bandiera o non bandiera bisogna vedere come ci si comporta, perché se uno sta tanti anni in un posto e non dà l’esempio con i comportamenti, magari per altri può essere una bandiera e invece non è così.

Se mi vieni a chiedere se c’è un corner o no, ti dico che non c’era e lo assegni lo stesso, allora dimostri di non mantenere un comportamento serio, e mi invogli a cercare di imbrogliarti la volta successiva… Di certo non rischierei di perdere la mia onorabilità e la mia serietà per un calcio d’angolo.

L’azione è stata talmente convulsa e veloce che non mi sono accorto se fosse gol o no. E se anche se me ne fossi accorto, non faccio il figo e il bello, e ammetto che non l’avrei detto all’arbitro. Per il processo di beatificazione, più avanti. (Dopo Milan-Juventus del 25 febbraio 2012)

Ho fatto un rapido calcolo: ho iniziato con giocatori nati nei primi anni 60, finirò con i 2000. In un certo senso ho attraversato quattro decenni, cercando di esserci sempre e non soccombere mai. E il mio orgoglio più grande è quello di esserci riuscito.

Mamma mia… sic transit gloria mundi… è da due giorni che si parla solo ed esclusivamente di “biscotto” biscotto di qua, biscotto di là, biscotto di su, biscotto di giù… come se avessimo già vinto la partita con l’Irlanda.

Sono sei scudetti consecutivi ma anche dieci in carriera. Sì, dieci. Non mi vergogno a dirlo. Li ho vinti tutti. Sul campo. Accanto a campioni di cui, mentre scrivo, rivedo volti, fatica e sorrisi. La Federazione, Wikipedia o la Lega dicono che sono otto. Io non discuto arbitri, giudici e leggi. Ma nessuno può negarmi il diritto di sentirli tutti miei.

La porta? Avevo 12 anni quando ti ho voltato le spalle. Rinnegai il mio passato per garantirti un futuro sicuro. Una scelta di cuore. Una scelta d’istinto. Proprio nel giorno in cui ho smesso di guardarti in faccia però, ho cominciato ad amarti. A tutelarti. A essere il tuo primo e ultimo strumento di difesa. Ho promesso a me stesso che avrei fatto di tutto per non incrociare più il tuo sguardo. O per farlo meno possibile. Ma ogni occasione è stata una sofferenza, dovermi voltare per rendermi conto di averti deluso. Ancora. Ancora una volta. Siamo sempre stati opposti e complementari, come Luna e Sole. Costretti a vivere uno accanto all’altro senza mai potersi sfiorare. Compagni di vita a cui viene negato il contatto.

Non sto a sindacare ciò che ha visto l’arbitro. Era sicuramente un’azione dubbia. E un’azione dubbia al 93′, dopo che all’andata non ci è stato dato un rigore sacrosanto al 95′, non puoi avere il cinismo per distruggere una squadra che ha messo tutto in campo. Ti ergi a protagonista per un tuo vezzo o perché non hai la personalità adatta. Un essere umano non può fischiare un’uscita di scena di una squadra dopo un episodio stradubbio: al posto del cuore hai un bidone della spazzatura. Devi avere la sensibilità del momento, altrimenti te ne stai in tribuna a mangiare le patatine. E mandi qualcun altro, dicendo “io non ce la faccio ad arbitrare certe partite”. È una questione di sensibilità che deve albergare in ogni uomo. Ha preso una decisione da animale. (Riferendosi all’arbitro Michael Oliver dopo Real Madrid-Juventus del 12 aprile 2018)