Michael Jordan, le frasi del campione di basket

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Michael Jordan, conosciuto anche con le sole iniziali MJ, è stato uno dei più grandi campioni di basket americano. Classe 1967, il celebre cestista nel 1984 entrò a far parte della NBA con i Chicago Bulls. Grazie alle sue straordinarie performance si è guadagnato in breve il soprannome di Air Jordan e His Airness.

Ne 1999 è stato nominato ‘più grande atleta nord-americano del XX secolo’ e nel 2016 il presidente Barack Obama lo ha insignito della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile americana.

Di seguito si riportano le frasi più belle di Michael Jordan.

Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.

Con il talento e basta non si vince.

Che effetto fa sapere di essere “the Greatest”? È semplicemente un’opinione.

Senza Doctor J non sarebbe mai esistito MJ.

Posso accettare la sconfitta, tutti falliscono in qualcosa. Ma non posso accettare di rinunciare a provarci.

Non importa quanta energia spendi per arrivare in fondo a una partita decisiva; quello che conta è ciò che ti rimane in corpo per vincerla.

Nella Nba di oggi, meno fisica e con queste regole, andrei in lunetta spesso e potrei segnare 100 punti in una partita.

So bene di essere nero, ma mi piacerebbe essere visto come persona, e questo è il desiderio di ognuno.

Coach Tex Winter, dopo che segnai 24 punti consecutivi, mi apostrofa così: “Ehi Mike, non esiste l’Io in uno sport di squadra”. Gli dissi: “Ma io ho appena vinto”.

Non ho mai badato alle conseguenze dello sbagliare un tiro importante. Perché? Perché, quando pensi alle conseguenze pensi sempre ad un risultato negativo.

È mia convinzione profonda che se si pensa e si ha successo come una squadra, i riconoscimenti individuali verranno da sé. Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere un campionato.

Facile dire “ho dato il massimo” oppure “sono stanco o malato, ora qualcun altro deve fare anche la mia parte” e sentirsi a posto con la coscienza. Non è il mio approccio, e qualsiasi cosa accada, so di dover provvedere alla squadra con ogni più piccola goccia di energia.

Dennis Rodman? Come si concia o cosa dice non mi interessa. Abbiamo imparato a convivere con lui e ad accettarlo perché, anche se ogni tanto la sua mente si perde, non c’è nessuno che si butta come lui nei lavori più duri in campo.

Devo ammetterlo, il Madison Square Garden ha sempre un effetto speciale sul mio rendimento. Sì, è il mio stadio favorito.

Phil Jackson? È l’unico che sia riuscito a tirare fuori sempre il meglio di me, l’uomo che mi ha fatto diventare un vincente.

Fra me e Phil Jackson era una continua sfida a livello mentale. Mi ha spesso messo in difficoltà nello spogliatoio con i compagni, ma lo faceva per fortificarmi.

Ho raggiunto l’apice della carriera. Non ho più nulla da raggiungere, non posso più superare me stesso, ho perso ogni entusiasmo, mi sento demotivato. Ed è giusto, a questo punto, andarmene in pensione, senza aspettare l’inevitabile declino. (Conferenza stampa del primo ritiro)

LeBron agli Heat? Onestamente, se fossi stato in lui avrei cercato di battere Wade e Bosh invece di giocarci assieme.

Saper difendere è una chiave essenziale del mio gioco. Dopo una certa età non puoi far conto soltanto sulla tua prestanza, ma devi saperti gestire e usare il cervello specie sotto al tuo canestro.

Vero, sono un tifoso di Valentino Rossi. Lui è esattamente ciò di cui questo sport ha bisogno. Porta entusiasmo e possiede una grandissima carica di energia. Ogni volta che ci troviamo nello stesso circuito è un piacere incontrarlo e passare del tempo con lui. È un vero campione, ce l’ha nel sangue.

Ci sono molte squadre, in ogni sport, che hanno grandi giocatori ma non vincono mai titoli. La maggior parte delle volte quei giocatori non sono disposti a sacrificarsi per il bene della squadra. La cosa divertente è che, alla fine, la scarsa disponibilità al sacrificio rende più difficile raggiungere gli obiettivi personali.