Primo Levi, le frasi dello scrittore torinese

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Primo Levi è stato un celebre scrittore italiano. Nato a Torino da una famiglia di origine ebraica e laureato in Chimica, nel 1943 Primo Levi venne arrestato in Valle D’Aosta in quanto partigiano antifascista. Dopo aver transitato nel campo di Fossili, fu inviato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Sopravvissuto agli orrori del Lager, raccontò le atrocità viste e subite nel libro Se questo è un uomo. L’opera ha contribuito in modo determinante a far conoscere al mondo l’orrore dell’Olocausto.

Ecco di seguito le frasi più belle tratte dalle opere di Primo Levi, uno scrittore unico che ha dato voce ad uno dei drammi più grandi della Storia.

C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio.

Se questo è un uomo.

Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti.

Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia.

Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.

Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti.

Perché certe imprese per capirle bisogna farle, o almeno vederle.

Poiché anche la Natura è conservatrice, portiamo nel coccige quanto resta di una coda scomparsa.

Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia.

I nazisti e i fascisti hanno dimostrato per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell’uomo dopo millenni di vita civile, e questa è opera demoniaca.

Nelle intenzioni fasciste, in Italia la caccia all’ebreo non avrebbe dovuto essere meno accanita che nella Germania alleata, ma è stata ampiamente vanificata dalla sensibilità umana degli italiani.

Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no.

Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto.

Io sono convinto che Israele va difeso, credo nella dolorosa necessità di un esercito efficiente. Ma sono convinto che anche al governo israeliano faccia bene confrontarsi con un nostro appoggio sempre condizionato.

Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza.

Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta.

L’uomo è gregario, e ricerca più o meno consapevolmente la vicinanza non già del suo prossimo generico, ma solo di chi condivide le sue convinzioni profonde.

Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a un tavolo, purché ci sia volontà buona e fiducia reciproca: o anche paura reciproca.

Kafka comprende il mondo (il suo, e anche meglio il nostro d’oggi) con una chiaroveggenza che stupisce, e che ferisce come una luce troppo intensa.

È dell’uomo operare in vista di un fine: la strage di Auschwitz, che ha distrutto una tradizione ed una civiltà, non ha giovato a nessuno.

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento.

Le leggi razziali furono provvidenziali per me, ma anche per gli altri: costituirono la dimostrazione per assurdo della stupidità del fascismo. Le leggi razziali erano il sintomo di una carnevalata: si era ormai dimenticato il volto criminale del fascismo (quello del delitto Matteotti, per intenderci): rimaneva da vederne quello sciocco.

Essi, gli altri prigionieri di Auschwitz, popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.

Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso.

Sarà bene ricordare a chi non sa, ed a chi preferisce dimenticare, che l’olocausto si è esteso anche all’Italia, benché la guerra volgesse ormai alla fine, e benché la massima parte del popolo italiano si sia mostrata immune al veleno razzista.