Proverbi umbri

L’Umbria è una regione incantata con i suoi dolci paesaggi verdi e i suoi suggestivi borghi immersi in un’atmosfera senza tempo. A scenari mozzafiato come quelli delle Cascate delle Marmore si alternano sul territorio umbro luoghi di grande fascino e spiritualità come Assisi, la cittadina che ha dato i natali a San Francesco.

Altrettanto affascinanti sono luoghi ricchi di storia e tradizione come Gubbio, Perugia, Orvieto, Terni e Spoleto: centri antichi dove però si respira un’aria cosmopolita.

Gli umbri sono infatti un popolo orgoglioso delle proprie tradizioni e fiero di condividere con il mondo il proprio patrimonio artistico e culturale. Ecco di seguito riportati alcuni proverbi umbri che ben raffigurano lo spirito di un popolo gioviale e accogliente.

 

 

Chi ccià la mojie bella sempre canta e chi ccià pochi quatrini sempre conta.

(Chi ha la moglie bella canta e chi ha pochi denari li conta sempre)

Chi rubba ccià la robba, chi lavora ccià la gobba.

(Chi ruba ha la roba, chi lavora la gobba)

Quanno so’ troppi galli a cantà ‘n sé fa mae ghjorno.

(Quando sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno)

C’hai più corna tu che ‘n cistu de lumache.

(Hai più corna di un secchio di lumache)

La donna e lu focu vo’ stuzzicati ‘gni pocu.

(La donna e il fuoco vanno stuzzicati)

Nun se caca sotto la neve che d’estate non se scopre.

(Le cattive azioni si scoprono sempre)

Fa quel ch’il prete dice, no’ quel che il prete fa.

(Fa quello che il prete dice, non quello che lui fa)

Si portamo la nostra croce ‘n piazza ognuno arpìa la sua.

(Se portassimo le nostre tribolazioni in piazza ognuno riprenderebbe le proprie)

Occhiii vianchi e capilli rusci nte fidà se ni cunusci

(Occhi bianchi e capelli rossi,non ti fidare se non li conosci)

Tu vù fa le nozze co le cipolle!

(Vuoi fare tante cose senza impegnare niente!)

L’infernu è pieno d’avvocati.

(L’inferno è pieno di avvocati)

Va’ a fà ‘l bene dai somari.

(Vai a far del bene a chi non se lo merita)

Ecco, fa come i perugini che pe’ fa i fini dal pane je dicono ‘l pène

(Ecco, quello la fa come i perugini che per essere raffinati chiamano pène il pane).

Anghe la prèscia vòle lu tembu sua.

(Anche la fretta ha bisogno di tempo)

Priestu a taola e tardi in guerra.

(Presto a tavola e tardi in guerra)

Ta lassa sta’ ‘i hon fregat la moglie.

(A quello che diceva di lasciare sempre stare, alla fine gli hanno rubato anche la moglie)

Roma viduta, fede pirduta.

(Vista Roma, perduta la fede)

Ottenuta la grazia e gabbatu lu santu.

(Ottenuta la grazia e gabbato lo santo)

L’avaru è come lu porcu, è bonu quann’è mortu.

(L’avaro è come il maiale, è buono quando è morto)

Fra la socera e la nora lu diavulu laora.

(Fra la suocera e la nuora il diavolo lavora)

Niente nova, bona nova.

(Niente novità, buona novità)

Dall’antru munnu in ‘è tornatu mai niciunu.

(Dall’altro mondo non è tornato mai nessuno)