Stefano Benni, le citazioni dello scrittore bolognese

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Stefano Benni è uno dei più importanti e prolifici scrittori del panorama dell’attuale narrativa italiana. Bolognese classe 1947, Benni è autore di romanzi e raccolte di racconti che hanno riscosso enorme successo tra i lettori italiani e non solo.

Tra le sue opere più famose spiccano titoli come Bar Sport, La Compagnia dei Celestini, Margherita Dolcevita e Pane e tempesta. Nei suoi scritti, il celebre autore costruisce mondi immaginari e ironizza su alcuni aspetti della società italiana degli ultimi tempi.

In questa pagina sono disponibili frasi e citazioni in cui ritrovare lo spirito e lo stile della scrittura di Stefano Benni.

Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore.

Le idee sono come le tette: se non sono abbastanza grandi si possono sempre gonfiare.

Lo sport è uno dei due linguaggi interclassisti interrazziali e internazionali. L’altro è il danaro.

Donne e scoregge scappano anche se non vuoi.

Il passato, come lei sa, è come certi torturati. Duro a morire.

Di questi tempi è duro far gli spiritosi, se non si è miliardari.

Il cuore c’ha le valvole, non le molle.

Gli innamorati, i veri innamorati inventano con gli occhi la loro verità.

La vita è come l’anticamera di un dentista. C’è sempre uno che sta peggio di te.

L’inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C’è biossido per tutti. Invece non c’è felicità per tutti.

La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.

La filosofia cerca le verità ultime, l’ironia le verità penultime.

Sono passato dalla stazione. Forse volevo partire. O sognare che arrivasse qualcuno.

Ci vuole un gran fisico per correre dietro ai sogni.

Il poker si gioca in quattro, oppure in tre col morto, o anche meglio in tre col pollo.

Nell’invenzione nulla muore, mentre ricchezza e indifferenza spengono tutto.

Si è sempre soli una notte di troppo.

La giraffa ha il cuore lontano dai pensieri. Si è innamorata ieri, e ancora non lo sa.

Se l’amore passa, tutto torna come prima e si aspetta che un nuovo fulmine ci cada a un passo.

La vita del puntuale è un inferno in cui si attende la morte, sperando che almeno lei sia in orario.

Gli addii non si ripetono, la prima volta sono romantici, la seconda noiosi, la terza ridicoli o tragici.

Ci fu una grande battaglia di idee e alla fine non ci furono né vincitori, né vinti, né idee.

Ma che paese è questo dove gli unici che hanno ancora qualche speranza vengono chiamati disperati?

Ascoltate Thelonius Monk, Umberto Petrin, Rita Marcotulli, Danilo Rea. Se continua a piacervi Allevi, be’, non c’è niente da fare.

Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l’altra metà a credere in ciò che altri deridono.

Questa sinistra mi mette tristezza e non me ne frega più niente di dirlo. A costo di far rivoltare nella tomba mio nonno stalinista.

D’Alema convoca i Vip in convento.

In teatro devi ascoltare tutti, dal fonico al datore di luci: ne sanno più di te.

Come c’è la libertà di mollare un libro, c’è la libertà di lasciare la sala. Due o tre volte l’ho fatto.

Un libro può essere aperto, interrotto, ripreso dopo un mese, abbandonato, riletto. Quando sei a teatro è necessario ascoltare senza interruzioni.

Oh, se si potessero trasportare i sogni in terra! Almeno un pezzetto. La parete che ci separa da loro è così sottile: un aprirsi d’occhi, un battito di ciglia, meno di un istante.

Sono molto messo in scena dal teatro amatoriale, o dagli attori che fanno provini, e questo non mi dispiace.

Solo i poveri sanno davvero mangiare, diceva Eduardo. Quella che vediamo di questi tempi non è attrazione per il cibo, è ossessione per il cibo come unico piacere, è la sostituzione dell’eros con il ricettario.

Il buco nell’ozono? La colpa è di Toto Cutugno: usa talmente tanta lacca che ogni volta che si dà un colpo di spazzola si stacca un pezzo di Antartide.

Ho amato immensamente Carmelo Bene, ma certo non gli somiglio. Il suo culto della parola poetica e musicale era unico, inimitabile, sacro. E anche irritante e ridondante, qualche volta. Ma mi ha sempre emozionato.

Non dimentico l’incanto di quando a sei anni andavo in piazza a vedere il teatro dei burattini. Fagiolino e Sganapino sono stati la mia prima lezione di tempi comici.

Non si può entrare nel mondo della filosofia a forza di citazioni ma bisogna leggere qualcosa, non si può spiegare Platone senza invogliare a leggere qualcosa di Platone.

Sono sempre me stesso, che scriva un piccolo brano o una lunga commedia. Sono libero di rinunciare all’onnipotenza della mia scrittura e ascoltare i consigli degli altri, ma non faccio mai niente se non ci credo e non mi diverto.

Ho sempre pensato a Dario Fo come a un grande albero. Che allungava i rami verso il cielo, verso le invenzioni e le storie più fantastiche, ma stava ben piantato nella terra, nell’amore per il popolare, il volgare, la storia degli umili.

La forza di Dario Fo era nello stare saldo e non temere nessun vento, regalando frutti splendidi, amati o indigesti per tutti, attraverso le stagioni della storia italiana. Era un albero antico, dolce e durissimo.