Zlatan Ibrahimović: frasi, citazioni e dichiarazioni di Ibracadabra

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Zlatan Ibrahimović è un calciatore svedese, ritenuto tra i più forti della sua generazione. Nato a Malmö il 3 ottobre 1981, lungo la sua carriera ha militato in diverse squadre di paesi differenti. Dal Malmö FF è passato all’Ajax prima di sbarcare in Italia dove ha vestito le maglie della Juventus e dell’Inter; è approdato quindi al Barcellona. L’esperienza spagnola durerà solo un anno. Zlatan fa di nuovo le valige e torna in Italia, al Milan. Infine le avventure in Francia, al PSG, in Inghilterra, al Manchester United, e in America, ai L.A. Galaxi. Negli anni ha vinto molti trofei di squadra e individuali.

Di seguito è stato stilato un elenco di frasi celebri di Zlatan Ibrahimović.

Wenger mi aveva offerto un provino all’Arsenal. All’inizio volevo farlo, ma alla fine dissi di no. Zlatan non fa provini.

Io ho la missione di vincere.

José Mourinho è l’allenatore più completo che abbia mai avuto, in campo e fuori.

Christian Brocchi? È semplice: lui corre, io gioco.

Cosa ho regalato a mia moglie per il compleanno? Niente, lei ha già Zlatan.

Voi parlate, io gioco. (Rivolgendosi ai giornalisti)

Questo Paese di merda non merita il PSG!

È vero, non so molto dei calciatori di questo campionato, ma sono sicuro che loro sanno molto di me. (Appena acquistato dal PSG)

Rifiutare una sfida non è da me.

Non sono violento, ma se fossi in Guardiola avrei paura.

Quello che Carew riesce a fare con una palla da calcio, io posso farlo con un’arancia.

Di solito non si torna in una vecchia squadra ma vorrei tornare al Milan. È un club fantastico.

Io e la mia famiglia stiamo cercando un appartamento a Parigi. Se non riusciremo a trovare nulla, probabilmente compreremo l’hotel.

Senza ombra di dubbio è il Milan il club più grande in cui abbia mai giocato.

Ha comprato una Ferrari e la guida come una Fiat. (Riferendosi a Guardiola, criticato per non sfruttarlo nel giusto modo)

Giornalista: “Chi vincerà gli spareggi per la Coppa del Mondo?”
Ibrahimovic: “Solo Dio sa”
Giornalista: “Però è un po’ difficile chiedere a lui”
Ibrahimovic: “Perché? Lo hai davanti a te, adesso”

Un Mondiale senza di me è poca cosa, non c’è davvero nulla da guardare e non vale nemmeno la pena aspettarlo con ansia.

Zidane è di un altro pianeta. Quando lui entrava in campo gli altri dieci giocatori miglioravano improvvisamente. Semplicemente così.

All’inizio andai a sinistra e lui fece lo stesso; poi andai a destra e lui fece come me. Poi tornai ancora a sinistra e lui andò a comprarsi un hot dog. (Raccontando il dribbling al difensore Stephane Henchoz)

Quando sono arrivato in Italia, tutti dicevano che ero un giocatore fantastico, ma che non segnavo tanti gol. Sarei curioso di sapere cosa hanno da dire adesso.

L’Inter era divisa in gruppetti, argentini di qua, brasiliani di la’. Li odiai fin da subito. Mi rivolsi a Moratti parlando chiaro: “Dobbiamo rompere questi dannati clan. Non possiamo vincere se lo spogliatoio non è unito”.

Quegli scudetti sono miei e lo dico anche se ora gioco nell’Inter. E se non ci credete, vi porto a casa mia a vedere i due trofei. Non scherziamo, abbiamo fatto tutti dei gran sacrifici, tutti i giorni, per vincerli. Il resto non mi interessa.

Al PSG mi vogliono bene? Certo, ma non credo che possano rimpiazzare la Tour Eiffel con una mia statua… Nemmeno i dirigenti ce la possono fare. Ma se ce la facessero rimarrei qui, promesso.

Io non accetto di perdere, non lo accetto proprio. L’ho imparato dalla vita. Per me contano la grinta e l’aggressività, la determinazione e la concentrazione sui propri obiettivi.

Quando Capello si arrabbia sono pochi quelli che osano guardarlo negli occhi, e se ti offre una possibilità e tu non la sfrutti puoi anche andare a vendere salsicce fuori dallo stadio.

Mi piace molto la mentalità che hanno qua. Esci ad allenarti e vedi Xavi, Messi, Iniesta e tutti che si mettono a giocare a pallone. In Italia, aspettavi che uscisse l’allenatore per parlare, seduto in panchina. Sono quasi come i bambini quando escono dalla classe.

Capello appartiene alla scuola tradizionale, mi diceva che non segnavo abbastanza e che per lui l’essenziale era fare gol, non giocare bene. Mourinho invece appartiene alla nuova generazione e ti chiede anche di giocare bene. Questa è l’unica differenza tra i due.

Ho tifosi che mi sostengono in tutto il mondo. D’ora in avanti, vorrei che questo sostegno andasse alle persone che soffrono la fame, perché sono loro i veri campioni. Così, ogni volta che sentirete pronunciare il mio nome, sarà a loro che dovrete pensare.

Nessuno va da lui a parlargli dei suoi problemi. Capello non è tuo amico. Non chiacchiera con i giocatori, non a quel modo. Lui è il sergente di ferro, e quando ti chiama in genere non è un buon segno. D’altro canto non puoi mai sapere. Lui distrugge e costruisce.

Eravamo stati eliminati dalla Champions League, Guardiola mi guardava come se fosse tutta colpa mia, e io pensavo: “Siamo al capolinea. È finita”. Dopo quella partita ebbi come la sensazione di non essere più il benvenuto nel club e stavo male quando mi mettevo al volante della loro Audi. Stavo da schifo quando ero seduto negli spogliatoi, e Guardiola mi guardava in cagnesco come se fossi un elemento di disturbo, un estraneo. Era come un muro, un muro di pietra: da lui non ricevevo nessun segno di vita, e ogni minuto che trascorrevo con la squadra desideravo essere altrove. Non ne facevo più parte.