Giacomo Leopardi: le frasi celebri del poeta romantico pessimista

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Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) è stato una delle figure intellettuali più importanti del XIX secolo. Poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo è assimilabile alla corrente del romanticismo (nonostante lui non abbia mai voluto essere categorizzato in toto sotto tale etichetta). Il suo pensiero, frutto di una riflessione inesausta, è approdato nei lidi di una speculazione sfociata nel pessimismo.

Di seguito è stato stilato un elenco di frasi celebri di Giacomo Leopardi, il poeta che catturò l’infinito.

Piangi, che ben hai donde, Italia mia.

Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor.

A me la vita è male.

Due cose belle ha il mondo: amore e morte.

Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.

Vivi felice, se felice in terra visse nato mortal.

Il fare è il miglior modo d’imparare.

L’impostura vale e fa effetto anche senza il vero; ma il vero senza lei non può nulla.

Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini dabbene, di vili contro i generosi.

Il mondo non crede mai che chi non cede abbia il torto.

Rari sono i birbanti poveri.

Nessuna professione è sì sterile come quella delle lettere.

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?

Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né di altre cose simili; ma ho bisogno d’amore.

L’uomo è quasi sempre tanto malvagio quanto gli bisogna.

La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani.

Il più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, è di non trapassarli.

Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

Ne’ guai non ci vuol pianto ma consiglio.

Non si vive al mondo che di prepotenza.

Il piacere è sempre o passato o futuro, non mai presente.

La noia è il desiderio della felicità, lasciato, per così dir, puro.

Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo.

Cosa rarissima nella società, un uomo veramente sopportabile.

Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di far creder al mondo di esser già famoso.

Quasi tutte le principali scoperte che servono alla vita civile sono state opere del caso.

Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio stile. Bisogna che lo stile sia padrone delle cose.

Gl’italiani non hanno costumi: essi hanno delle usanze. Così tutti i popoli civili che non sono nazioni.

La condizione progressiva della società non mi riguarda affatto. La mia, se non è retrograda, è eminentemente stazionaria.

La conoscenza degli effetti e la ignoranza delle cause produsse l’astrologia.

La morte non è male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii.

La donzelletta vien dalla campagna, in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba; e reca in mano un mazzolin di rose e viole…

Nessuna qualità umana è più intollerabile nella vita ordinaria, né in fatti tollerata meno, che l’intolleranza.

D’in su la vetta della torre antica, passero solitario, alla campagna cantando vai finché non more il giorno; ed erra l’armonia per questa valle.

Il genere umano e, dal solo individuo in fuori, qualunque minima porzione di esso, si divide in due parti: gli uni usano prepotenza, e gli altri la soffrono.

La stima non è prezzo di ossequi: oltre che essa, non diversa in ciò dall’amicizia, è come un fiore, che pesto una volta gravemente, o appassito, mai più non ritorna.

Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.

È curioso a vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito.

Sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi. Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina.

Quasi tutti gli uomini grandi sono modesti: perché si paragonano continuamente, non cogli altri, ma con quell’idea del perfetto che hanno dinanzi allo spirito, infinitamente più chiara e maggiore di quella che ha il volgo; e considerano quanto sieno lontani dal conseguirla.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, | e questa siepe, che da tanta parte | dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. |
Ma, sedendo e mirando, interminati | spazi di là da quella, e sovrumani | silenzi, e profondissima quiete | io nel pensier mi fingo; ove per poco | il cor non si spaura. E come il vento | Odo stormir tra queste piante, io quello | Infinito silenzio a questa voce | Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, | E le morte stagioni, e la presente | E viva, e il suon di lei. Così tra questa | immensità s’annega il pensier mio; | e il naufragar m’è dolce in questo mare.