Giuseppe Tomasi di Lampedusa: le frasi migliori dell’autore del Gattopardo

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Giuseppe Tomasi di Lampedusa è stato un celebre scrittore siciliano vissuto tra il 1896 e il 1957. Intellettuale dalla personalità complessa e affascinante, ha firmato un capolavoro della letteratura italiana come Il Gattopardo.

Il romanzo, considerato un pilastro della narrativa mondiale, narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società della Sicilia durante gli anni del Risorgimento. L’opera fu adattata nell’omonimo film di Luchino Visconti del 1963 con Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale.

Ecco di seguito alcune delle citazioni più interessanti e delle frasi più belle tratte dalle opere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.

È meglio un male sperimentato che un bene ignoto.

L’amore… Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta.

Finché c’è morte c’è speranza.

Occorre sapere, per lo meno, esser certi che qualcuno sappia per chi o per che si è morti.

Ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone.

La facoltà di ingannare se stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri.

Nel termine “campagna” è implicito un senso di terra trasformata dal lavoro.

Come era possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà morire? Non era lecito odiare altro che l’eternità.

Io sono una persona che sta molto sola; delle mie sedici ore di veglia quotidiane dieci almeno sono passate in solitudine.

In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’.

Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.

Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali.

I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria.

Sono venticinque secoli almeno che portiamo (noi siciliani, ndr) sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.