Jovanotti, le frasi celebri del grande Lorenzo

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Jovanotti è uno dei cantautori più innovativi nel panorama della musica italiana. Romano classe 1966, Lorenzo Cherubini è stato lanciato nel mondo della musica italiana negli anni ’80 da Claudio Cecchetto. Durante la sua straordinaria e fortunata carriera ha firmato brani celebri come La mia moto, Ciao Mamma, Baciami ancora e tanti altri ancora.

Impegnato in ambito sociale e politico, Jovanotti è un convinto pacifista e collabora spesso con associazioni come Emergency, Amnesty International e la Lega Antivivisezione.

Ecco di seguito una ricca raccolta con le frasi più belle tratte dalle canzoni di Jovanotti.

Mormora,| la gente mormora,| falla tacere praticando l’allegria.

Il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi… io e te.

La vertigine non è | paura di cadere, | ma voglia di volare.

L’unico pericolo che sento veramente | è quello di non riuscire più a sentire niente.

E c’è una terra di mezzo tra il torto e la ragione, la maggior parte del mondo la puoi trovare là.

So che è successo già, che altri già si amarono, non è una novità, ma questo nostro amore è come musica, che non potrà finire mai.

È naturale preferire le belle bugie, Alla durezza di ghiaccio di certe verità.

Quando non so dove sono io mi sento a casa, quando non so con chi sono mi sento in compagnia.

Viva l’Italia bagnata dal mare anche se è un mare di guai.

Non c’è montagna più alta di quella che non scalerò | non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò.

A te che sei, semplicemente, sei sostanza dei giorni miei.

Mi riconosci ho le scarpe piene di passi | la faccia piena di schiaffi | il cuore pieno di battiti | e gli occhi pieni di te.

Rido di me, di te e di tutto ciò che di mortale c’è!

Viviamo comodi dentro alle nostre virgolette ma il mondo è molto più grande, più grande di così | Se uno ha imparato a contare soltanto fino a sette, vuol mica dire che l’otto non possa esserci.

Ho visto causa ed effetto che si scambiavano il ruolo. | E ho visto grandi orchestrali crollare dentro un assolo.

Ho visto cose riservate ai sognatori | ed ho bevuto il succo amaro del disprezzo | ed ho commesso tutti gli atti miei più puri.

A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia | le forze della natura si concentrano in te | che sei una roccia, sei una pianta, sei un uragano, | sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano.

Gli dirò che ogni schiaffo e ogni pugno che è dato, ogni piccolo diritto che nel mondo è violato, è una ferita per tutti gli esseri della terra e finché non c’è giustizia ci sarà sempre guerra.

Nella vita mia niente mi appartiene | tranne quegli istanti in cui insieme noi siamo stati bene.

Non rivendico nessuna appartenenza, tranne quella al mondo degli esseri viventi col diritto di affondare le radici, sogno un universo dove ogni differenza sia la base per poter essere amici.

Ho commesso le solite colpe | da carenza o da eccesso d’affetto.

La tristezza è un ricatto è il delictum perfecto | cha fa vittime più della peste e non desta sospetto.

Mi hai dato tempo una vita per ritrovare l’uscita | mi son distratto e ad un certo punto non l’ho più cercata.

E allora piangi piangi forte e ridi ancora più forte così che scoppi di vita così che scacci la morte.

Guarda sempre in faccia il mondo e non avere paura di niente | non abbassare lo sguardo di fronte alla gente | potranno dirti bugie potranno prenderti in giro | è una partita che si gioca all’ultimo respiro.

Cosa s’impara dal dolore non so | Ma credo ancora che tutto un senso ha.

Nessun filo spinato potrà rallentare il vento, non tutto quel che brucia si consuma.

E sogno dopo sogno sono sveglio finalmente | Per fare i conti con le tue promesse.

La mia pelle è carta bianca per il tuo racconto, scrivi tu la fine: io sono pronto.

Come nei sabati sera in provincia | che sembra tutto finito poi ricomincia. | Come in un sabato sera italiano | che sembra tutto perduto poi ci rialziamo.

È per te il profumo delle stelle, | è per te il miele e la farina, | è per te il sabato nel centro, | le otto di mattina, | è per te la voce dei cantanti, | la penna dei poeti, | è per te una maglietta a righe, | è per te la chiave dei segreti, | è per te ogni cosa che c’è, ninna na ninna e…

Ho due chiavi per la stessa porta | per aprire il coraggio e la paura.

Vedo gli occhi di una donna che mi ama | E non sento più il bisogno di soffrire | Ogni cosa è illuminata | Ogni cosa è nel suo raggio in divenire.

Si fa i conti con i mille volti della paura.

Il quinto mondo è quello senza storia | che niente è più variabile della memoria.

La storia ci insegna non c’è mai fine all’orrore | la vita ci insegna che vale solo l’amore.

La gente della notte fa lavori strani: certi nascono oggi e finiscono domani.

Che bello è quando c’è tanta gente e la musica, la musica ci fa star bene.

Tra il niente e l’abbastanza c’è il troppo e il troppo poco, c’è l’acqua, l’acqua, il fuoco, il fuoco; tra il tutto e il non mi basta c’è che non sono Dio però chi sta cantando sono io…

A volte penso che: nel momento in cui uno ride, quello sia veramente un momento in cui si aprono le porte della percezione e l’Eternità entra in noi.

Allenamento, allenamento senza una meta, senza una gara da vincere, solo andare e viaggiare io e la bici, settanta, ottanta, cento, centrenta chilometri in tre ore e mezza scoprendo strade senza macchine incrociando ciclisti di tutte le età e di tutte le velocità.

L’evoluzione passa attraverso porte strette e poi chi sa se sono le porte giuste? Probabilmente sono le uniche.

La mia è sempre di più la lingua dei viaggiatori e chi decide di ascoltarmi deve sapere che io sono uno che racconta mondi che ha visto e mondi che vuole vedere, e che non conosco a fondo la lingua del posto, la lingua degli stanziali, strimpello strumenti e parlo male diverse lingue e di volta in volta ho bisogno di musicisti e di interpreti per metter su le tende nel luogo e restare finché non mi riprende il senso di irrequietezza che mi porta a fare di nuovo i bagagli e partire.

Nella rete non c’è notte e non c’è giorno, non c’è alto e non c’è basso, non c’è corpo e non c’è calligrafia, c’è solo il bit, che viaggia e che prende la forma che gli vogliamo dare.

Arrivare fin quaggiù e arrivarci da solo, con le proprie gambe, è fare un viaggio fino alla periferia del rapporto con se stessi, è mettersi alla prova, è cercare, non scappare, ma andare fino in fondo a conoscere i propri fantasmi

È un continuo alternarsi di gioia e dolore, una presenza continua della vita e della morte a braccetto come se andassero a una festa, tutt’e due nel pieno del loro splendore.

Il lavoro di quei volontari è simile a quello di chi tenta di travasare il mare con un cucchiaio, ma la speranza che si respira in quel posto, seppure sia solo un cucchiaio, è veramente più grande del mare.

La compressione non è una degenerazione del suono, la compressione è un adattamento del suono ai tempi che si vivono, è un adattamento alla cultura del proprio tempo. È come pensare che leggere l’Odissea su un tablet tolga qualcosa all’Odissea. È un pensiero che non tiene conto neanche della bellezza dell’Odissea.

Il mondo era analogico ma io ero già digitale, nell’anima, traducevo tutto in un’immagine e poi tutte le immagini in codice. La mia vita era internet, ma internet non c’era ancora.

A volte capire non serve molto, intendo dire che se sta arrivando un temporale puoi anche capire i motivi scientifici per cui sta arrivando ma di fatto sta arrivando e bisogna piuttosto capire come comportarsi. Io sono un temporale.

Il rap era un paese delle meraviglie, zero politica, zero eroina, niente droghe, niente sì sì no no, niente di niente, pura forma puro fatto estetico, ritmo, caos, gente che balla, stile.

Non sapevo cantare e non sapevo suonare nessuno strumento, in questo consisteva la distanza tra me e la possibilità di fare vera musica. Ma le distanze, eccovi una perla di saggezza, esistono per essere percorse, è chiaro se non c’è distanza non c’è desiderio, se non c’è desiderio non c’è avventura, se non c’è avventura non c’è un bel niente per cui valga la pena di vivere.

Ricordo tutto. I sanremi, il cilindro e la maglietta a righe, il cappello da esploratore. Io amo i cappelli e forse è colpa sua.

Zucchero ha grandi orizzonti. Un italiano che sa di America, di grandi musicisti e di grandi sound. Sono un suo fan e condivido con lui la passione per i cappelli.