Leonardo Sciascia, le frasi dell’itellettuale siciliano

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Leonardo Sciascia è stato uno degli intellettuali italiani più importanti degli ultimi decenni. Nato a Racalmuto nel 1921, il celebre autore siciliano è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. Con occhio critico e spirito anticonformista ha saputo raccontare, come mai nessuno prima di lui, le contraddizioni della sua terra e dell’umanità stessa.

Tra le sue opere spiccano capolavori come Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Una storia semplice. Lo scrittore è morto nel 1989. Le sue spoglie riposano nel cimitero del suo paese natale e sulla lapide l’epitaffio recita: “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”.

Ecco di seguito riportato un ricco elenco con le frasi più belle e le citazioni più famose tratte dai romanzi e gli scritti di Leonardo Sciascia.

Tutto quello che vogliamo combattere fuori di noi è dentro di noi; e dentro di noi bisogna prima cercarlo e combatterlo.

Ce ne ricorderemo, di questo pianeta.

È una cosa talmente semplice fare all’amore… È come aver sete e bere. Non c’è niente di più semplice che aver sete e bere; essere soddisfatti nel bere e nell’aver bevuto; non aver più sete. Semplicissimo.

La nostra giornata è fatta, come tutta la vita, di misteriose rispondenze, di sottili collegamenti.

Quando c’è in giro tanta pietà per gli animali, pochissima ne resta per l’uomo.

Un orologio che va male non segna mai l’ora giusta; un orologio fermo la dà esatta due volte al giorno.

Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte.

La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini.

La contraddizione definisce Palermo. Pena antica e dolore nuovo, le pietre dei falansteri impastate di sangue ma anche di sudore onesto. La Mafia che distribuisce equamente lavoro e morte, soperchierìa e protezione.

Nessuna crisi può segnare il punto del cedimento per un uomo, per un artista, il cui elemento di vita è appunto la crisi. Guttuso è sempre in crisi: sicché nessuna crisi può coglierlo con insidia o alla sprovvista. Il suo essere pittore è una passione, una febbre – cioè, propriamente, una crisi.

Tante cose si fanno per il bene degli altri che diventano il male degli altri e il proprio.

Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario.

Che cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità di un momento che contraddice altre verità di altri momenti?

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.

Incredibile è l’Italia: e bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l’Italia.

La Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro a modo proprio.

Arrovellarsi con la politica era del resto tempo perso: e chi non se ne rendeva conto o ci trovava il suo interesse o era cieco nato.

Rispetta il prossimo tuo come te stesso, e anche qualcosa di più.

Sai come si dice? Tre c sono pericolose: cugini, cognati e compari. Le tresche più gravi si verificano quasi sempre nella parentela e nel comparatico.

Ci sono uomini che in determinate epoche arrivano alla perfezione, sciogliendosi dall’ambiente in cui vivono e dalle cose del loro tempo, assumendo coscienza della fine e salvandosene nel distacco, nella superiorità, nell’autosufficienza. E in questo senso, Piccolo partecipa di una tale perfezione, nella sua vita come nella sua poesia.

Se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo.

L’aspetto peggiore della morte non è tanto il non esserci quanto il fatto che altri daranno una interpretazione delle tue parole e della tua opera.

Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo.

I siciliani sono stati del tutto impermeabili alle dominazioni straniere, un’autentica identità sicula è riuscita a conservarsi attraverso i secoli.

Continuo ad essere convinto che la Sicilia offre la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo odierno.

Cosa rispondere, se non che il siciliano è il prodotto della sua storia? È colpa sua se non ha mai davvero deciso da solo, se sono gli altri che hanno sempre agito per lui, in sua vece e luogo, romani, bizantini, piemontesi?