Luciano Ligabue, le frasi del celebre cantautore

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L’uomo tra “palco e realtà”, vale a dire Luciano Ligabue, o semplicemente Ligabue. O ancor più semplicemente Liga. Nato a Correggio il 13 marzo 1960, prima di raggiungere la popolarità ha svolto diversi lavori umili. Poi il grande successo che è andato oltre gli steccati della musica. Infatti Liga si è cimentato con sorprendenti risultati anche nel settore cinematografico, vestendo i panni di sceneggiatore e regista, e nel campo letterario, in qualità di brillante scrittore.

Di seguito viene proposto un ricco elenco di frasi celebri di Luciano Ligabue.

Il rock deve essere suonato al volume che serve.

Questo Paese non è di chi lo governa, ma di chi ci abita.

Mi piace pensare che ci sia la varietà necessaria per poter avere da ogni canzone una diversa chiave di lettura.

Sono proprio i “limiti” della canzone a fare da garanti per la presenza dell’emozione.

Adesso i politici non sono capaci di promettere un futuro neanche nelle loro campagne elettorali.

La sensazione che ho sempre avuto su B‪ruce Springsteen‬ è che, consapevole della fortuna del proprio talento, abbia sempre lavorato tantissimo per dimostrare (o dimostrarsi) di meritarselo.

Pensarlo possibile ti spinge a darti da fare. Se ti rassegni, se pensi che invece il meglio sia passato, allora ti metti nel tuo angolo, immobile, ad aspettare l’arrivo del peggio.

Amo questo Paese e non sopporto il fatto che non ci sia una classe dirigente capace di farlo diventare un Paese moderno, che abbia un futuro, o che semplicemente prometta un futuro.

Non dimentico chi ha toccato con mano, almeno per una volta la mia vita. Perché se lo hanno fatto, significa che il destino ha voluto che mi scontrassi anche con loro prima di andare avanti.

Io canto sempre guardando le facce delle prime file, sempre. Non sono di quelli che cantano fissando un punto nel vuoto: ho bisogno di quel tipo di scambio.

Io vivo la canzone come una sorta di colloquio fra me e l’ascoltatore e mi piace pensare che il lavoro che uno fa su sé stesso si rifletta in termini positivi nella società.

Io penso che le persone non si dimenticano. Non puoi dimenticare chi un giorno ti faceva sorridere, chi ti faceva battere il cuore, chi ti faceva piangere per ore intere. Le persone non si dimenticano.

Credo che ci sia sempre da parte mia la tentazione di provare a raccontare, per quanto sia possibile, le emozioni. Quando è difficile farlo con le parole cerco di raccontare dei contesti in cui quell’emozione prova ad uscire da sola.

Non mi sento rappresentato da una religione. Mi sento nella necessità di credere nell’esistenza di un dio, ma non ce la faccio più a riconoscermi in una religione che, l’ho detto più volte, in certi aspetti è macabra e ha tutta una scelta di rappresentazioni che sono lugubri.

A me fa stare bene l’idea che le mie canzoni siano fischiettate un po’ da tutti, non mi importa da chi o da quale ceto sociale, e ancora di più se sono suonate voce e chitarra.

Quando riesci a realizzare qualcuno dei tuoi sogni, provi una doppia sensazione: subito l’esaltazione per quello che stai vivendo e poi la rassegnazione per il fatto che quel sogno, essendo diventato realtà, non ce l’hai più.

Nelle prime interviste, come qualsiasi rocker che vuole sboroneggiare, dicevo: non mi vedo a cinquant’anni a fare questo, adesso non solo mi ci vedo, ma guardo con attenzione gli Stones. Ci sto ancora bene sul palco a “ballare sul mondo”.

Non appena vai in crisi c’è sempre qualcuno che verrà a dirti che non è il caso di abbattersi, che un giorno le tue pene farai fatica perfino a ricordarle… e tu sai che è vero ma sai anche che quella è l’ultima cosa che in quel momento vuoi sentirti dire.

C’è una canzone mia, che si chiama Leggero, che è una vera e propria dichiarazione di intenti. Leggero, nel vestito migliore, sulla testa un po’ di sole ed in bocca una canzone. Quello lì è un obiettivo che mi prefiggo da tanto tempo e che ad un certo punto, cantandolo, me lo ricordo.

Ognuno di noi ha i propri mostri, i propri fantasmi: si possono chiamare ossessioni, paure, condizionamenti, senso di inadeguatezza, aspettative e chissà in quali altri modi ancora. Sappiamo, però, che sono vivi e sono il filtro attraverso cui chiunque matura la propria, personale visione del mondo.

C’è una prima fase del successo in cui ovviamente, quando sei ancora un outsider, sei una promessa e in genere riscuoti simpatia; poi quando hai successo ed è un successo che arriva dal niente, piaci a quasi tutti. Dopo, cambia. Dopo, qualsiasi cosa io facessi, c’era sempre una parte di gente che diceva: a) non è più quello di una volta, oppure b) sempre la stessa roba.