Paolo Borsellino, alcune frasi del grande Magistrato

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Paolo Borsellino è stato un magistrato italiano assassinato da Cosa nostra a Palermo, sua città natale, il 19 luglio del 1992 in un tragico attentato che oggi viene ricordato come la ‘Strage di via D’Amelio’. Insieme al giudice siciliano, persero la vita nell’attentato anche cinque agenti della scorta.

Con il collega e amico fraterno Giovanni Falcone, per anni Paolo Borsellino condusse con coraggio una guerra instancabile contro la mafia e la criminalità organizzata.

Di seguito si riportano alcune delle frasi più belle di Paolo Borsellino, per riflettere e lasciarsi ispirare.

È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.

Almeno, l’opinione pubblica deve sapere e conoscere. Il pool deve morire davanti a tutti.

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.

La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio.

A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato.

Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre.

Non ho tempo da perdere, devo lavorare, devo lavorare. E’ una corsa contro il tempo, per arrivare alla verità prima di essere fermato.

Ninnì Cassarà mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”.

Bisogna liberarsi da questa catena feroce dell’omertà che è uno dei fenomeni sui quali si basa la potenza mafiosa.

Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno.

Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.

Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

I pentiti sono merce delicata, delicatissima, sono loro che scelgono il giudice a cui confessare, non viceversa, sono degli sconfitti che abbandonano un padrone per servirne un altro, ma vogliono che sia affidabile.

Rocco Chinnici? Né la generale disattenzione né la pericolosa e diffusa tentazione alla convivenza col fenomeno mafioso – spesso confinante con la collusione – scoraggiarono mai quest’uomo, che aveva, come una volta mi disse, la “religione del lavoro”.

Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.

Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.

Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli.

La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.

La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.