Reinhold Messner, l’alpinismo come stile di vita: frasi e dichiarazioni celebri

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Reinhold Messner nasce a Bressanone il 17 settembre 1944 ed è un alpinista ed esploratore di fama internazionale. Lungo la sua vita ha compiuto numerose imprese. È stato il primo alpinista al mondo ad aver scalato tutte le quattordici cime del pianeta che superano gli 8000 m. La maggior parte di queste arrampicate le ha intraprese da versanti o in condizioni di eccezionale difficoltà. Le innovazioni che ha portato nell’arrampicata libera prima e nell’alpinismo di alta quota poi lo hanno inserito nel gota dell’alpinismo internazionale tra gli anni sessanta e settanta. Inoltre Messner è autore di diversi libri in cui narra le sue avventure. Dal 1999 al 2004 è stato Membro del Parlamento europeo.

Di seguito è stata stilata una lista delle frasi famose di Reinhold Messner

Il limite più grande che ho accettato è quello di essere vivo. Non ho “deciso” di essere vivo.

L’alpinismo non può obbedire a regole.

Il 50% del mio coraggio è paura.

Io sono quel che faccio.

Non c’è eroismo in me. Sono un uomo che ama fare. C’è dell’egoismo, sempre. La vita di un operaio può essere eroica quanto la mia.

I momenti dell’infelicità sono momenti chiave della vita, gli unici momenti in cui si impara davvero qualcosa.

Ho cercato fin dal principio la libertà dentro di me. L’ho salvaguardata per tutta la vita come un guardiano il faro.

L’alpinismo porta con sé dei rischi, ma anche tutta la bellezza che si nasconde nell’avventura dell’affrontare l’impossibile.

Guardavo le montagne e pensavo che arrampicandomi sarei andato via dal campanilismo e dalla ristrettezza mentale della valle.

Ho cercato di dare il massimo nella mia vita e ho sempre cercato di superare i limiti.

Non si può mai dominare la natura, l’alpinista deve assumersi le proprie responsabilità e non dare la colpa alla montagna.

L’uomo da solo, non in lotta con la montagna, ma con lei impegnato in un dialogo profondo. Questo è il mio modo di vedere l’alpinismo.

Bandiere sulle montagne non ne porto: sulle cime io non lascio mai niente, se non, per brevissimo tempo, le mie orme che il vento ben presto cancella.

Quando ero sotto le valanghe, o quando ho perso le dita dei piedi a 25 anni, ho contemplato sempre tutte le possibilità, anche in pochi secondi.

Quando avevo abbandonato tutto e non mi restava più niente mi sono reso conto che l’uomo ha inventato prima la lingua del cervello. Per sopravvivere. Ad ogni costo.

Le croci sulle cime? Quelle esistenti lasciamole. Ma non installiamone altre. Sulle cime solo gli ometti di sassi e nient’altro. Le vette delle montagne non devono essere sfruttate per dei messaggi.

Di cosa ho paura? Della vita borghese dalla quale sono sempre scappato fin da piccolo quando abitavo in Val Funes e non c’era neanche un campo da calcio per giocare.

Quando guardo le montagne ho i sentimenti delle montagne dentro di me: li sento, come Beethoven che sentiva i suoni nella testa quando era sordo e compose la Nona sinfonia. Le rocce, le pareti e le scalate sono un’opera d’arte.