Totò, le frasi del celebre attore napoletano

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Antonio de Curtis, meglio conosciuto più semplicemente come Totò, è stato un celebre attore italiano. Nato a Napoli nel 1898, l’attore è considerato uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiani.

Soprannominato ‘il principe della risata’, Totò è stato anche drammaturgo, poeta, cantante e compositore. In cinquant’anni di carriera, il celebre attore realizzò ben 97 pellicole e oltre 50 spettacoli teatrali. Lavorò con i più importanti nomi del cinema e dello spettacolo a lui contemporanei.

Ecco di seguito alcune delle frasi più belle di Totò.

Io da bambino ho avuto la meningite. Con la meningite si muore o si rimane stupidi. Io non so’ morto.

La diffidenza rende tristi.

Sono un minorenne anziano.

Tutto di canapa mi voglio vestire.

Signori si nasce ed io, modestamente, lo nacqui.

Uomini di genere maschile! Contro il logorio della donna moderna, soffittizzatevi.

A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?

In questa epoca io ci vivo per sbaglio.

Gli avvocati difendono i ladri. Sa com’è… tra colleghi.

Non sono io che comando la mia faccia, è la mia faccia che comanda me.

Io non so se l’erba campa e il cavallo cresce, ma bisogna avere fiducia.

Non so leggere, ma intuisco.

Era un uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiedevano il bis.

Il coraggio non mi manca. È la paura che mi frega.

A volte è difficile fare la scelta giusta perché o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame.

È capacino… (La prima volta che vide Alberto Sordi)

L’unica cura per l’acne giovanile è la vecchiaia.

Signora, sono a sua completa disposizione. Corpo, anima e frattaglie.

Le uova sono troppo dolci? Che le devo dire? Saranno uova di Pasqua.

Il napoletano lo si capisce subito da come si comporta, da come riesce a vivere senza una lira.

Un po’ più bianchi, un po’ più neri, un po’ più freddi, un po’ più caldi, gli uomini son tutti uguali.

Mina? Se si spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate.

E’ sempre meglio un vigliacco vivo che un eroe morto, soprattutto se il vigliacco sono io.

Il mondo io lo divido così, in uomini e caporali. E più vado avanti, più scopro che di caporali ce ne son tanti, di uomini ce ne sono pochissimi.

Io le amo tanto, le donne, che riesco perfino a non essere geloso. Tanto a che serve esser geloso. Se una donna ti vuol bene, è felice. Se non ti vuol bene, ne prendi un’altra.

Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire.

È bella la notte: bella quanto il giorno è volgare. Io amo tutto ciò che è scuro, tranquillo, senza rumore. La risata fa rumore. Come il giorno.

Abbandonai l’idea di diventar prete proprio quando scappai con una canzonettista, a vent’anni. Ma che ci vuol fare: io, quell’affare della castità, non lo capisco. Lo trovo così disumano, innaturale.

No, non mi importa morire. Mi importa, ecco, invecchiare. Quello proprio mi disturba, mi secca. Sapesse che dramma sentirsi giovani e poi guardarsi allo specchio, vedersi un volto pieno di rughe, una testa di capelli grigi… Gesù! Che schifezza!

Chi è che mi ha sparato questa fucilata al cuore? Adesso basta, lasciatemi morire. (Rivolto ai medici, la notte prima di morire)