Francesco De Gregori è nato a Roma il 4 aprile 1951 ed è ritenuto uno dei cantautori di spicco della sua generazione. Lungo la sua carriera ha sperimentato varie sonorità passando dal rock alla canzone d’autore, senza mancare di attingere dalla musica popolare. I suoi testi pullulano di sinestesie e metafore, figure retoriche che spesso non rendono comprensibile di primo impatto il significato dei suoi brani. Inoltre, la sua produzione musicale spazia da una vena intimista fino a quella etico-politica, con abbondante uso di riferimenti storici e letterari.
Di seguito viene proposto un elenco di frasi e citazioni di Francesco De Gregori, il Principe della musica italiana.
Quando tu indicavi il cielo | mentre io guardavo il dito.
In faccia ai maligni e ai superbi | il mio nome scintillerà, | dalle porte della notte il giorno si bloccherà.
Se ho scommesso, se ho pagato, | se ho promesso ed ho tradito, | quante volte ho confessato | senza essermi pentito.
Ho imparato che l’amore insegna, ma non si fa imparare.
Viva l’Italia, l’Italia che lavora, | l’Italia che si dispera e l’Italia che si innamora; | l’Italia metà dovere e metà fortuna. | Viva l’Italia, l’Italia sulla luna.
Guarda che non sto scherzando. | Guarda come sta piovendo. | Guarda che ti stai bagnando, | guarda che ti stai sbagliando. | Guarda che non sono io.
Ognuno è fabbro della sua sconfitta, | ognuno merita il suo destino, | chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino!
E con le mani, amore, per le mani ti prenderò | e senza dire parole nel mio cuore ti porterò; | e non avrò paura se non sarò bella come dici tu, | ma voleremo in cielo in carne e ossa, non torneremo più. | E senza fame e senza sete | e senza ali e senza rete | voleremo via.
Se credi di conoscermi | non è un problema mio.
La storia siamo noi, nessuno si senta offeso; | siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo. | La storia siamo noi, attenzione!, | nessuno si senta escluso. | La storia siamo noi; | siamo noi queste onde nel mare, | questo rumore che rompe il silenzio, | questo silenzio così duro da masticare.
Venezia: | luogo comune della malinconia.
Ma se soltanto per un attimo potessi averti accanto | forse non ti direi niente, ma ti guarderei soltanto.
Venezia sta sull’acqua | e piano piano muore.
Cadono tutte le stelle, | si spengono una a una | e sembrano caramelle | che si sciolgono nella laguna.
E quando fra i buoni poeti ne trovi uno vero, | è come partire lontano, come viaggiare davvero.
L’avevi creduto davvero | che avremmo parlato esperanto? | L’avevi creduto davvero | o lo avevi sperato soltanto?
La gente oggi non ha più paura, | nemmeno di rubare.
Mi fa paura il silenzio, | ma non sopporto il rumore.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone: | la storia entra dentro le stanze, le brucia. | La storia dà torto e dà ragione.
E avevo nella testa una fontana, | una pioggia sottile di pensieri cattivi, | mentre la gente seduta al tavolino | contava il tempo con gli aperitivi.
Tu sei seduto nel buio, | io lavoro nella luce. | Tu sei seduto in silenzio, | io vivo con la mia voce.
Due buoni compagni di viaggio | non dovrebbero lasciarsi mai. | Potranno scegliere imbarchi diversi, | saranno sempre due marinai.
Uno scudo bianco in campo azzurro è la sua fotografia. | Chiunque lo conosca bene può chiamarlo senza offesa uomo di poca malinconia.
Ed è per questo che la storia dà i brividi: | perché nessuno la può fermare.
Se avessi potuto scegliere tra la vita e la morte, | tra la vita e la morte avrei scelto l’America.
Buonanotte, buonanotte fiorellino, | buonanotte tra le stelle e la stanza. | Per sognarti devo averti vicino, | e vicino non è ancora abbastanza.
Non c’è nessun perdono in tutta questa pietà.
E sono entrato in un portone e dentro un grande ascensore | e mi hanno fatto domande sulla mia vita interiore | ed in qualcuna delle mie risposte c’era il tuo nome.
Ci sta una terra di nessuno | da qualche parte nel cuore, | come un miraggio incastrato | tra la noia e il dolore.
E guarda l’amore che non ha commenti da fare, | l’amore comunque che non ha paura del mare da attraversare.
Si gioca per vincere | e chi vince è perduto.
Non bisogna vergognarsi della propria fragilità.
Sono stato berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy.
La casa è una canzone sulla fragilità. Sul fatto che costruiamo sempre qualcosa che è destinato a crollare. Non è pessimismo, è disincanto.
Il verbo “credere” non dovrebbe appartenere alla politica. Non basta promettere bene e saper comunicare.
È una forma d’espressione atipica, quella dei cantautori. Spesso funziona più un’esecuzione grezza e improvvisata di un’altra tecnicamente impeccabile.
Non scrivo mai in maniera rigida, a tavolino. A volte basta un flashback e in un pezzo può entrarci di tutto.
Amando la letteratura, capisco che non sono adatto a scrivere un romanzo. Se tanti miei colleghi avessero la stessa consapevolezza, le librerie sarebbero meno affollate di carta.