Henri Cartier-Bresson, le frasi del celebre fotografo

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Henri Cartier-Bresson è stato un celebre fotografo francese. Classe 1908, Cartier-Bresson è considerato un pioniere del fotogiornalismo e uno dei massimi esponenti della Fotografia umanista ovvero la corrente fotografica che poneva al centro delle sue ricerche l’essere umano.

Tra i fondatori della celebre Agenzia Magnum insieme all’amico Robert Capa, nel corso della sua vita il fotografo viaggiò per il mondo e realizzò anche ritratti di celebri personaggi come Truman Capote, Coco Chanel, Martin Luther King e Marilyn Monroe, solo per citarne alcuni.

Ecco di seguito alcune delle più belle frasi di Henri Cartier-Bresson.

Uno ha un talento o non ce l’ha. Se hai un talento, ne sei responsabile. Ci puoi lavorare sopra.

La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità.

Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale.

Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso un solo momento.

La curiosità è essenziale alla fotografia, ma la sua spaventosa controparte è l’indiscrezione, che è una mancanza di pudore.

Quando mi interrogano sul ruolo del fotografo ai nostri tempi, sul potere dell’immagine, ecc. non mi va di lanciarmi in spiegazioni, so soltanto che le persone capaci di vedere sono rare quanto quelle capaci di ascoltare.

Produciamo il testo per l’immagine e non l’immagine per il testo.

Ogni volta che premo il pulsante dello scatto, è come se conservassi ciò che sta per sparire.

Per guardare bene, bisognerebbe imparare a diventare sordomuti.

Ho capito all’improvviso che la fotografia poteva fissare l’eternità in un attimo.

Proprio perché il nostro mestiere è aperto a tutti resta, nella sua allettante semplicità, molto difficile.

Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere.

A volte mi chiedono: “Quale è la foto che preferisci tra quelle che hai realizzato?”. Non saprei, non mi interessa. Mi interessa di più la prossima fotografia, o il luogo che visiterò.

Ci sono scuole per qualsiasi cosa, dove si impara di tutto e alla fine non si sa niente, non si sa niente di niente. Non esiste una scuola per la sensibilità. Non esiste, è impensabile. Ci vuole un certo bagaglio intellettuale.

La pubblicità è il braccio armato di un sistema che senza di essa crollerebbe. Ci costringe a comprare.

Per me la fotografia di reportage ha bisogno di un occhio, un dito, due gambe.

Guardi certi fotografi di oggi: pensano, cercano, vogliono, in loro si avverte la nevrosi della nostra epoca attuale… ma la gioia visiva, quella in loro non la sento. Si sentono delle ossessioni, il lato morboso, a volte, di un mondo suicida.

In ogni caso, sfocata o meno, nitida o meno, una fotografia buona è una questione di proporzioni, di rapporti tra neri e bianchi.

Si parla sempre troppo. Si usano troppe parole per non dire niente. La matita e la Leica sono silenziose.

Fare un ritratto per me è la cosa più difficile. Difficilissima. È un punto interrogativo poggiato su qualcuno.

Ricordo con precisione gli avvenimenti che circondano ogni fotografia, indipendentemente dalla distanza temporale o geografica.

Avevo una Brownie-Box come tanti altri bambini, ma la usavo solo di tanto in tanto per riempire piccoli album con i ricordi delle vacanze.

La mia grande passione è il tiro fotografico.

Non ho mai abbondato la Leica, qualunque altro tentativo mi ha sempre fatto tornare da lei. Per me è la macchina fotografica.

Per me la fotografia non è cambiata dalle sue origini, tranne negli aspetti tecnici, che non sono la mia maggiore preoccupazione.